Evento Steiner

F. Florian Steiner

Michelangelo Antonioni e Florian Steiner: uno strano incontro nella dialettica tra professionismoe nomadismo artistico

di Paul Zilio

Come e quando si sono incontrati i due personaggi in questione? Difficile a dirsi, ma nonostante la distanza che esisteva tra loro nella concezione del rapporto con l’attività artistica, si sono voluti bene.
In una lettera, probabilmente mai spedita, che abbiamo trovato nelle pagine del suo diario o quaderno degli appunti, diretta a Lanfranco ( Lanfranco Colombo, negli anni Sessanta e Settanta aveva diretto e gestito a Milano la galleria d’arte “Il diaframma”, diventata poi anche una rivista fotografica) Steiner rammenta il periodo trascorso sul set del film “Professione reporter”. L’intestazione dello scritto riporta il seguente titolo: “Professione reporter: il film di Michelangelo Antonioni vissuto da un certo Frankensteiner”.
Il periodo in cui ha partecipato alla vita del set risale ai primi anni Settanta, la lettera al dicembre del 1973 e fu scritta ad Asolo, il paese che a partire proprio da quegli anni, suo malgrado, lo ha ospitato.

Per il nostro è stata un’esperienza drammatica. Come se fosse stato messo al muro della fucilazione. La esigentissima professionalità richiesta dal maestro Antonioni si scontrava con la pigrizia dettata dall’ispirazione di una figura, una sorta di folletto, che si aggirava sul set aspettando di trovare quell’idea che lo spingesse a scattare delle fotografie sulla scena. Molti lo scambiavano per un paparazzo, come ad esempio Maria Schneider, protagonista insieme a Jack Nicholson del film in questione; altri lo trattavano appunto come un personaggio bizzarro e molto simpatico. Questa empatia è stata il mezzo attraverso il quale Steiner si è fatto apprezzare anche se poi del suo lavoro rimarrà ben poco.
L’incontro tra il regista e il fotografo, come tutti gli strani incontri, è avvenuto in modo casuale. “Pare che ci sia un regista famoso che non può girare il suo nuovo film perchè non riesce a trovare un attore…una specie di avventuriero tarzanesco che precipita nella giungla dell’Amazzonia; …mando delle foto con una serie di autoscatti per farmi conoscere e quelle foto avevano suscitato, tra le ilarità, un certo interesse…tanto che quando Antonioni stava tornando da Venezia ha voluto fare un salto ad Asolo per conoscermi..abbiamo cenato e poi gli ho mostrato dei miei lavori fotografici che sono piaciuti.. alla fine arrivò una telefonata e tre settimane dopo mi trovavo a Roma sul set. Che strano! Professione reporter e io dovevo fare il fotografo di scena. L’emozione era altisisma”.
Ma vivere il set non è così semplice: “Fare il cinema è come fare la naia: disciplina, orari, obbedienza, sottomissione, gelosie…”.

Per Steiner tutto ciò risultava spesso insopportabile e alienante, non riusciva più a capire quale fosse il suo ruolo nonostante fosse riuscito a stabilire un ottimo rapporto con Jack Nicholson, a quei tempi secondo Steiner un vero attore, serio e affidabile; quando gli faceva delle foto dimostrava grande disponibilità anche se a volte poteva essere irritato e annoiato dai continui pedinamenti da parte dello staff. Michelangelo invece durante le riprese era un vero e proprio tiranno, irascibile e spesso crudele, mentre al di fuori si trasformava in un agnellino gentile e sensibile. Steiner, a seconda delle situazioni, doveva indossare tante maschere, tanto da sentirsi come una sorta di “mostro” Frankensteiner. Sentiva il bisogno di uscire da quel labirinto, di respirare un’aria più viva e pulita e forse la scrittura si è trasformata in lui in un bisogno per ritrovare il proprio centro, per posizionarsi rispetto alla congiuntura di un set così conflittuale e insidioso. Nonostante gli ordini, ha sempre cercato nei soggetti ripresi una loro verità nei gesti magari più inconsapevoli e meno sorvegliati: cercava l’anima in tutte le cose e si commuoveva; ma tale aspetto in quel frangente non serviva al “maestro” che, con una certa sprezzatura, scartava e gettava lontano, come annoiato, tutte le foto del nostro, considerandole inservibili per il suo progetto. Al contempo Antonioni aveva colto la sua sensibilità. Steiner non poteva essere ingabbiato, amava troppo la sua libertà, la sua indipendenza se vogliamo artistica che non poteva piegarsi alle esigenze di una regia che voleva essere assolutamente rigorosa e coerente con la visione del mondo del regista: in questo caso crisi d’identità esistenziale e alienazione.

In conclusione se da una parte c’era un’esigenza di realizzare un film dove per questioni economiche bisognava rispettare i tempi di consegna e di conseguenza tutto ciò poteva essere raggiunto con un’organizzazione del lavoro precisa e maniacale, la tirannia del tempo, dall’altra lo spazio del set era attraversato da un’anima in cerca e in attesa di cogliere la realtà nel suo farsi ma questo non può essere soggetto al tempo, la posso solo cogliere se so aspettare nella massima libertà e apertura. La poesia non può essere precettata.
Nonostante questa, per certi versi anche dolorosa esperienza, la stima e l’amicizia tra i due è rimasta, anzi forse il maestro aveva colto in lui quel disincanto di chi, come un vero nomade, affrontava la vita per cogliere in ogni soggetto l’anima mundi sempre con uno sguardo meravigliato, un fanciullino, nel senso di chi davvero vive per sorprendere quegli aspetti della natura che come si sa tendono a nascondersi.
Era dotato di una vita interiore intensa, come dimostrano i suoi scatti e i suoi scritti cioè diari, lettere, quaderni di appunti che evidenziano una forma maniacale da grafomane: tutto ciò è stato forse determinato da quella forbice che si è aperta sempre di più e in modo conflittuale tra ciò che avrebbe sempre voluto fare e ciò che spesso invece è stato costretto a fare.