
Fake news
Le streghe della notte
di Carlo Bragagnolo
Era il mese di giugno, mi trovavo a Biškek, in Kirghizistan, ex repubblica sovietica, fermo da parecchi giorni in attesa del visto per il Tibet o meglio per la Cina, dato che i funzionari cinesi facevano ostruzionismo per il fatto che avevamo chiesto prioritariamente l’ingresso proprio in Tibet. Soggiornavo in un albergo della città e durante il giorno andavo a zonzo per cercare di raccogliere storie di persone che incontravo, questo era uno dei miei incarichi. Ogni sera, al ritorno in albergo, incontravo una signora anziana che con il suo carrettino si fermava tra le due porte d’ingresso dell’albergo e cercava di vendere giornali; l’osservavo ogni sera, rimaneva lì per un paio d’ore. Non l’ho mai vista vendere un giornale. Incuriosito, chiesi alla mia interprete, un’insegnante di lettere presso l’università di Biškek, che aveva imparato la lingua italiana dal vocabolario, se era possibile scambiare qualche parola con quella signora perché provai la sensazione che avesse qualcosa da raccontare. Un paio di sere dopo mi fissò un appuntamento. Ci incontrammo nel suo solito posto, portai la macchina da presa, e con l’aiuto dell’interprete cominciai a porre delle domande, o meglio cercai di instaurare un dialogo. Rimasi con lei, registrando, un paio d’ore in cui colse l’occasione per rovesciarmi addosso la sua vita attraverso parole, silenzi, sospiri, sguardi, gesti. Si chiamava Yevdokiya Pasko ed era una delle dodici superstiti del gruppo di donne pilota dell’aviazione russa nella seconda guerra mondiale. Aveva il compito, assieme alle sue compagne, di individuare le postazioni dell’esercito tedesco, fotografare, bombardare. Tra i tedeschi erano conosciute come le streghe della notte, per il fatto che le missioni avvenivano sempre nell’oscurità. Mi raccontò che era pensionata, pluridecorata e percepiva, fatto il cambio, meno di venti dollari mensili, che le venivano versati ogni 4 o 6 mesi. La vendita dei giornali era un modo per arrotondare un po’, e le passavano comunque una quota fissa anche se non ne distribuiva. Terminata la sua storia, mi guardò fisso e con due lacrime che scendevano sulle guance mi abbracciò, mi disse grazie, prese il suo carrettino e se ne andò. Furtivamente riuscii a metterle dei dollari in una tasca della giacca, non potendo fare altro. Dunque avevo una bella storia. Il mio compito, seguendo la spedizione di viaggiatori programmata dalla Rai, era quello di raccontare situazioni, incontri e persone, perciò consegnai il materiale al responsabile editoriale. Ritornato a casa, dopo un paio di mesi, vidi in tv la puntata dedicata a quel reportage e vi trovai poco più di mezzo minuto della registrazione che avevo realizzato. Nel filmato trasmesso, quella donna era diventata una dissidente del regime russo, inviata al confino. Questo diceva la traduzione registrata sopra il sonoro delle sue parole, tenuto a volume molto basso. Ci rimasi male. Chiesi ragguagli al capo, ma non ebbi risposta. Un anno dopo, durante il Tg1, vidi un servizio girato sulla Piazza Rossa a Mosca dove ci fu una cerimonia per l’incontro tra le dodici donne pilota superstiti della la seconda guerra mondiale, c’era anche lei. Yevdokiya Pasko, la strega della notte a cui abbiamo negato la parola, se n’è andata nel 2017, a 97 anni.