
Confini
Guerre turchesche
di Roberto Melchiori

In vacanza a Portoferraio sull’isola d’Elba. Qualche anno fa avrei scoperto per caso e letto questa iscrizione con divertita curiosità.
E’ murata in uno strano luogo: ciò che resta di un antico arsenale, riconvertito in gran parte a supermercato.
Fatto che rende la lapide leggermente incongrua.
Ciò che, però, mi avrebbe colpito nel passato è l’aura quasi fiabesca degli eventi ricordati, a partire dall’aggettivo “turchesco”, desueto e oggi piuttosto misterioso per i più.
E poi: la solennità improbabile dell’evocazione di vascelli da guerra fatti scendere in campo da una di quelle che anche noi un tempo avevamo come case regnanti (Oh Elisabeth!).
E ancora, l’“arrivano i nostri” di fantomatici ed esoterici “Cavalieri di santo Stefano”.
Perfino, alla fine, l’evocazione di Napoleone nelle parole dei dedicatari.
In questi giorni di guerra vera e vicina, lo strano oggetto mi ha fatto un’impressione diversa.
Ho subito pensato a quanto poco durino in modo riconoscibile, attraverso il tempo, le memorie delle circostanze che pure causarono lutti e sangue ragguardevoli.
Ho immaginato la natura selvaggia e senza quartiere di un’antica guerra marittima.
Per definizione senza confini, senza legge (posto che le guerre ne abbiano una), quasi fuori dal tempo organizzato dello spazio terrestre.
Ho riflettuto sulla difficoltà di calcolare l’esatta posta in gioco degli eventi evocati, al di là della pura dialettica di aggressione e risposta.
Mi ha suggestionato la natura quasi mitologica attribuita al nemico “turchesco”, potente ma indecifrabile e inafferrabile.
Per non parlare, infine, della risentita e quasi proterva identità medicea e granducale
(per un veneto piuttosto evocativa di altri risentimenti identitari).
Insomma, parecchie domande e parecchie inquietudini sollevate, attraverso questa lapide, da una guerra lontana, fondamentalmente sconosciuta e dimenticata, ma resa così prossima e inquietante dal nostro presente incerto e precario.