Rivista Fake News

Fake news

Comunicare fake

di Ugo de Marchi

Il fenomeno delle fake news non è, ovviamente, cosa recente. Basta digitare “fake news nella storia” in un qualsiasi motore di ricerca per avere una ampia documentazione in merito.
Casomai è il termine “fake news” ad essere relativamente nuovo; questa locuzione, infatti, inizia ad essere utilizzata nei primi anni del nostro secolo con il diffondersi dell’utilizzo dei “new media” e con la reperibilità di massa di strumenti (computer, smartphone) in grado di dialogare in tempo reale con un vastissimo numero di persone in tutto il mondo.
L’obbiettivo delle fake news è la disinformazione pianificata e la rete è lo strumento di comunicazione ideale per arrivare dovunque nel mondo a costo zero.
L’interesse è da sempre economico, politico o/e religioso.
In una parola: il potere.
Tecniche via via sempre più sofisticate, pensate ed organizzate da menti sottili a volte davvero malefiche hanno prodotto intrighi destinati a risultati spesso devastanti come, solo per fare un esempio, i protocolli dei Savi Anziani di Sion. Un complotto pensato e divulgato nei primi anni del XX secolo, dai servizi segreti zaristi che alludevano ad una cospirazione ebraico-massonica destinata ad impadronirsi di tutto il mondo.
Una diabolica fake new utilizzata dai regimi fascisti e nazisti per giustificare lo sterminio di sei milioni di ebrei.
Ma è sempre così?
Per fortuna no.
Fortunatamente la maggior parte delle “bufale” non sono così “torbide” anzi, molto spesso sono realizzate da persone male informate che si improvvisano comunicatori, Internauti arrabbiati o semplicemente bugiardi in cerca di visibilità e di like.
In questo caso sono facilmente riconoscibili con un minimo di analisi oggettiva e impegno critico o con l’aiuto della rete, cercando la veridicità della notizia in altre fonti media.
Ecco che quindi potremmo doverci confrontare con disinformazioni dettate da generici e odiosi pregiudizi nei confronti delle donne, dello straniero, del diverso; con gruppi più o meno organizzati di complottisti, negazionisti, terrapiattisti e altre stramberie simili.
Le caratteristiche del messaggio fake, molto spesso solo condiviso, sono simili e costruite su mezze verità, insinuazioni ammiccanti ed infine l’ingrediente principe della fake news: sua maestà il dubbio.
Svuotare il vasetto della marmellata e indirizzare, con qualche allusione, i sospetti verso la sorellina innocente.
Ma la sorellina è davvero innocente?
E’ questa allusione la madre del dubbio.

Ogni allusione, per conservare la propria intrinseca ambiguità, deve essere in parte vera o, almeno, non del tutto falsa. E’ necessario che “la sorellina”

si sia dimostrata, meglio se in più di una occasione, golosa di marmellata e…”les jeux sont faits”.
Gettato il seme, il dubbio crescerà tanto più rigoglioso quanto più il terreno sarà fertile.
E il fertilizzante è una mistura di incertezza, delusione, sfiducia e una grande parte di ignorantaggine.
Ma una fake news pur utilizzando lo stesso fertilizzante può rivelarsi più di una allusione o di una bugia, molto di più.
Nei casi più pericolosi è un velenoso imbroglio pensato con attenzione da persone o strutture dalle capacità e conoscenze sofisticate, è un collaudato sistema utilizzato con l’obiettivo di produrre disinformazione pianificata.
Può essere, e lo è stata in moltissime occasioni, un’arma letale se dispiegata con meticolosità sul terreno da inquinare.
Se utilizzata nei modi e nei tempi corretti può produrre un risultato disastroso.

L’importante è non abboccare.
E’ necessario affrontare l’enorme massa di comunicazione che ogni giorno ci sommerge con senso critico e coraggio intellettuale, pretendendo dalle fonti serietà e competenza.
Avere accesso ad una informazione corretta e assolutamente attendibile è
un diritto senza del quale la libertà è messa gravemente in discussione.