
F. Florian Steiner
Ricordo di F.Florian Steiner
di Carlo Bragagnolo
Parlare di Florian Steiner è un po’ complesso.
Si tratta di una persona dalle mille sfaccettature, un fotografo che ha sempre vissuto di fotografia, paradossalmente anche dopo aver smesso di fotografare. Con le sue foto, alcune diventate poi litografie, pagava ristoranti, comperava cose, finanziava le riparazioni della casa ad Asolo dove risiedeva ed aveva un conto aperto al bar centrale di questa cittadina.
Vita e fotografia erano per lui una cosa sola..
Quando si parla di quest’arte, solitamente si parla tantissimo di tecnica; per Steiner la tecnica rimaneva in secondo piano, la vera tecnica fotografica coincideva con il suo approccio diretto ed empatico rispetto alle persone che incontrava.
Non cercava di fare delle “belle” fotografie, ma di portarsi a casa “l’anima” della situazione ritratta.
Nella sua opera si coglie una sensibilità particolare, basata sull’attenzione, sull’osservazione, sul tentativo di comprendere e soprattutto di non giudicare.
Diceva che qualsiasi fotografia facesse era sempre un autoritratto, una parte di se stesso che diventava immagine, una parte remota, nascosta, intima che non traspariva perché celata da un abito di uomo forte, rude, sprezzante, insensibile, quasi scostante .
Nelle sue fotografie si nota il grande lavoro per dare dignità agli ultimi e farli diventare protagonisti nella società evidenziando le disparità di stato sociale, a volte in modo assai violento. Fu un uomo continuamente in lotta con il mondo circostante.
Conosceva otto lingue, forse riusciva a parlarne undici, (così mi ha raccontato), strumenti con cui poteva incontrare la realtà, viverla ed abitarla.
Un occhio allenato può riscontrare nelle sue fotografie lo sguardo di diversi autori precedenti che aveva assimilato e trasformato.

Il fotografo Ansel Adams ,incontrandolo,fece questa dichiarazione: tu non sei un fotografo perché non c’è tecnica e con quella “macchinetta” non puoi fare grandi cose. Andava fiero di queste parole.
Frequentò e ritrasse personaggi famosi negli anni ’60/’70, tra i quali Henry Miller, scrittore all’indice nel mondo puritano di allora, divenuto suo grande amico e maestro di vita.
Scorrendo i tantissimi negativi, troppi dei quali mai visti né stampati, si nota il suo rapporto con la luce che stimava con gli occhi e non con l’esposimetro.
Purtroppo molti di questi sono irrecuperabili, ma con alcuni Florian giocava, ricavandone foto artistiche, molto personali.
Un suo problema, purtroppo o per fortuna, è stato quello di non frequentare i salotti della fotografia, di non farsi pubblicità, di non mettersi in mostra, di non trovarsi un agente né di lavorare su commissione.
E’ conosciuto parecchio nelle Americhe e quasi sconosciuto nel suo paese d’origine: l’Italia.
Con questa mostra, dove è visibile solo una piccolissima parte delle sue opere,io e l’associazione PUK ci proponiamo di dare un po’ di luce a Florian, confidando che attraverso la visione delle sue fotografie possa essere conosciuto, compreso ed apprezzato come merita.
Negli ultimi tempi della sua esistenza, quando lo incontravo, trovavo un uomo solo e triste che soltanto quando parlava di fotografia riprendeva a vivere mentre suoi occhi risplendevano di una luce vivace e intensa.
La nostra amicizia data dagli anni Settanta. Era costituita da incontri sporadici, (anch’io ero un giramondo), ma quando ci si incontrava sembrava fossero trascorsi solo pochi istanti.
Ho faticato parecchio per convincerlo a fare una mostra ed una pubblicazione.
La sua idea era quella, una volta passato a miglior vita, di far bruciare tutto il suo materiale, di non lasciare alcuna traccia di sé. Speravo di poter realizzare questa mostra quando ancora viveva, purtroppo non stava bene e ci ha abbandonato al compimento del suo 88° anno.
Una foto gli era molto cara: il ritratto della ragazzina brasiliana che lui chiamava Monna Lisa , in quello sguardo si incrocia lo stesso sguardo di Florian Steiner.
