Rivista Confini

Confini

Limite, confine, soglia, orizzonte

di Franco de Vincenzis

Uno sguardo ‘mosaico’ alla metafisica e al suo destino.
Interrogarsi oggi sul senso del limite della ragione e su dove sia il confine al di là del quale diventa impraticabile, impossibile o perlomeno molto complicato inoltrarsi, ci dà lo spunto per avviare una riflessione più ampia che mette in gioco concetti chiave della tradizione filosofica, ma anche psicologica e psico-fisica.
Con l’aiuto della filosofia critica di Kant proveremo a rispondere a un interrogativo a nostro avviso dirimente: quando un ‘limite’ diventa ‘confine’ della ragione. In secondo luogo, grazie alla psicofisica di Fechner, cercheremo di chiarire quando il ‘limite’ diviene ‘confine’ della vita desta, cioè a dire qual è il significato e il ruolo della ‘soglia’ (Schwelle) tra inconscio, conscio e mondo ulteriore. Infine, tenteremo una sintesi ‘mosaica’ delle due linee interpretative per tentare di perlustrare il ‘confine-orizzonte’ inteso come ‘linea d’ombra’.

Lo spazio interpretativo che si apre nell’analisi puntuale della distinzione tra ‘limite’ e ‘confine’ si può riassumere nel conseguente interrogativo: c’è spazio per la metafisica? Se il limite indica l’impossibilità dell’oltrepassamento, mentre il ‘confine’ lascia intravedere l’open space che sta ‘oltre la linea’ è evidente che al concetto di limite non è possibile associare uno spazio ulteriore, se non ‘mistico’, come nel Wittgenstein del Tractatus logico-philosophicus. Al concetto di ‘confine’, al contrario, si può avvicinare l’idea di un’ulteriorità non esperibile, stante il dettato kantiano, poiché metaforicamente manca ‘il terreno sotto i piedi’, o ‘l’aria per il volo della colomba’. Eppure si tratta di un’ulteriorità possibile, perché è la stessa ragione con le sue idee che spinge in tal senso.
Senza entrare nell’analisi filologica dei termini kantiani Grenze e Schranke e dell’inversione semantica proposta da Costantino Esposito (secondo il quale Grenze andrebbe tradotto non con ‘limite’ ma con ‘confine’, e Schranke, viceversa, con ‘limite’, capovolgendo la vulgata interpretativa), si può accogliere di sicuro il riferimento al fatto che in Kant i ‘limiti della conoscenza’ equivalgono alla ‘conoscenza dei limiti’, dove è evidente, nella seconda parte del chiasmo, che ‘limite’ vada sostituito con ‘confine’.

Se l’oltrepassamento del ‘limite’ è un quadro inadeguato ma ‘razionale’ del confine, come accade nella ‘barriera’ che segna il confine di frontiera (che guarda caso in tedesco si dice Grenze), la ragione in questione non può che essere la ragion pura nel suo uso pratico. Infatti, ed è questa la tesi di Esposito che rimanda alla riflessione di Andrea Gentile, solo la ragion pratica kantiana può dare conto dell’ulteriorità, a partire dai confini che affacciano sull’ulteriore sviluppo teleologico della stessa ragione (pratica), ossia verso il sommo bene.
In altre parole, l’uomo virtuoso che segue gli imperativi della ragion pratica, può legittimamente sperare nel fine ultimo, il sommo bene, sintesi di felicità e virtù. La metafisica diventa così non più una linea di demarcazione non oltrepassabile, bensì una linea di trapasso.
L’ulteriore domanda a questo punto sarebbe: di quale metafisica si tratta, della vecchia metafisica classica, con il ‘passo-indietro’ (Schritt-zurück) di Heidegger, o di una nuova metafisica classica nel senso di Emanuele Severino che rifugge il ritorno alla metafisica scolastica pre-kantiana? O, ancora, si tratta della possibilità popperiana di un ‘senso’ della metafisica, la quale, pur non essendo scienza perché non falsificabile, tuttavia, avrebbe una funzione propulsiva nei confronti proprio della scienza, come accade ad esempio con l’atomismo, prima considerato ‘idea generale della metafisica’ e poi divenuto dottrina scientifica?
A questi interrogativi non si può rispondere se non ammettendo la necessità di una metafisica nel tempo presente. Quale che sia il suo destino, la metafisica ‘necessaria’, seppur inesplorabile con gli strumenti dell’intelletto, è l’orizzonte unitario/semantico che garantisce senso alla realtà. L’alternativa sarebbe il non-senso del nichilismo della tecnica.

Dell’andare ‘oltre la linea’ del nichilismo, inteso come destino della metafisica, aveva già parlato Jünger (1950), invocando le barriere (Grenzen) interiori (amore, amicizia e arte) quali oasi di libertà per mantenersi saldi nel deserto che avanza. E tuttavia, come fa notare Heidegger nella replica Zur Seinsfrage, rovesciando la posizione di Jünger, lo Über della Überwindung (oltrepassamento) del nichilismo andrebbe inteso non come ‘oltre’, bensì come ‘attorno’, quindi si tratta, ad avviso di Heidegger (e di Severino), di un ‘permanere nella metafisica’, con pazienza e ‘abbandono’, dato che ‘solo un dio ci può salvare’. Sono temi sin troppo noti che però esulano dalla nostra analisi.

Il rovesciamento che ci interpella in questa sede è legato alla ‘linea di confine’ ma solo nel senso dell’apertura all’essere in quanto ad-veniente in forma di Evento. In altri termini, se il ‘confine’ lascia intravedere l’open land ontologico (che sia ‘oltre’ o ‘attorno’ qui non fa differenza), ci troviamo a rivivere un’esperienza simile a quella mosaica dello sguardo ‘sconfinato’ sulla terra di Canaan. Mosè è costretto a trascorrere gli ultimi istanti di vita sul confine, mirando l’orizzonte ontologico e l’evento ‘futuro’ dell’ingresso nella Terra Promessa. A Mosè è concesso, in limine vitae, di osservare a distanza, non di entrare per fare esperienza diretta. Eppure, quel “te l’ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai” (Dt 34, 4) che JHWH concede al suo servo prediletto, all’unico profeta a cui aveva concesso di parlare ‘faccia a faccia’ (Dt 34, 10), collima esattamente con l’esperienza più ravvicinata che un essere umano possa fare al di là del limite. Lo sguardo oltre il confine è possibile solo a chi ha occhi per vedere l’assoluto ‘faccia a faccia’. Ecco perché, dice il Deuteronomista, “gli occhi non gli si erano spenti” nel lungo cammino della vita (120 anni). La vividezza degli occhi implica una vita ‘desta e consapevole’, senza attimi di assopimento. E questo rimanda al secondo corno della nostra questione: la soglia tra inconscio e vita desta, nonché il ‘di là’ dalla vita corporea verso la pienezza in luce.
Il ‘confine’, oltrepassato con lo sguardo della vividezza, implica il superamento della soglia dall’inconscio al conscio (poi dal conscio alla ‘coscienza’ ulteriore). È stato Fechner il primo a ‘misurare’ a livello psicofisico tale soglia riprendendo le intuizioni di Ernst Heinrich Weber sul rapporto tra stimolo e percezione. Tale rapporto, che Fechner svilupperà con la nota relazione logaritmica della legge chiamata per l’appunto di Weber-Fechner, presuppone che ci sia una proporzione diretta tra l’incremento dello stimolo e la corrispettiva percezione psichica.
Ai fini della nostra indagine, non ci interessa entrare nel dettaglio della legge e di verificarne la perspicuità scientifica, ma soltanto cogliere quello che Freud rileva nel ‘grande’ Fechner, ovvero che l’inconscio rappresenta ‘l’altra scena’ della psiche, lungo una medesima ‘scala’: sotto soglia vi è l’inconscio, al di sopra, la vita desta e, nel terzo livello (solo per Fechner), l’anima in piena luce.
Secondo Freud è il mondo onirico il topos privilegiato della riemersione dell’inconscio, tant’è che al terapeuta è richiesta la competenza psicoanalitica dell’interpretazione dei sogni. Ad avviso di Fechner, l’altra scena è il lato notturno, animato dal principio di piacere (Lustprinzip) che agisce in maniera insondabile per la scienza (la psico-fisica può solo indagare le tracce ‘emerse’ alla vita desta). Pertanto, se torniamo alla considerazione del ‘confine’, dello ‘sguardo’ sconfinato, e lo confrontiamo con la ‘soglia’ scopriamo delle insospettabili ‘somiglianze di famiglia’. Lo sguardo ‘mosaico’ di cui ogni essere umano sarebbe capace se fosse in grado di guardare l’assoluto ‘faccia a faccia’, con occhi non assopiti, è lo sguardo sopra-soglia, quello desto che preannuncia quello ulteriore, in luce. È solo uno sguardo libero da involucri fisico-corporei, quello che ci può garantire l’ek-stasis, l’uscita da sé e la pienezza dell’esperienza di vita.
Lo sforzo richiesto all’essere umano, nel tempo del nichilismo, ospite inquietante, non è quello di erigere ‘barriere’ e isolarsi ‘stoicamente’ nel proprio nucleo di intimità come vorrebbe Jünger, e nemmeno quello che ideggeriano di raccogliersi nell’essenza del nichilismo per una ‘comprensione essenziale’ del destino dell’essere (Gestell).
Forse solo lo sguardo ‘mosaico’ è in grado di tradurre una remota possibilità in ‘praticabile prossimità’, cioè di oltrepassare la linea del nichilismo con occhi profetici in grado di vedere, là dove altri non riescono. Preconizzare scenari futuri, intravvedere possibili vie di fuga, annunciare possibilità impossibili, tutto questo è parte di una visione ‘mosaica’ che prende sul serio il ‘limite’ e lo trasforma in ‘confine’, in ‘orizzonte’. La proprietà del confine-orizzonte è quella di lasciar trasparire l’al di là senza che diventi terra di conquista. Lo sguardo sull’orizzonte è uno sguardo docile e non invasivo. Consente di scrutare ma non di ‘occupare’ uno spazio. Seppur nella forma del ‘divieto’, ma non per espiare una colpa, Mosè non può, ma ci piace immaginare che nemmeno voglia o auspichi, praticare l’oltrepassamento del confine-orizzonte. Il ‘permanere nella metafisica’ di Mosé si tramuta in una statio estatico-contemplativa in cui il più grande dei profeti assapora la pienezza della vita. Per lo sguardo ‘mosaico’ è già in atto il transito oltre il limite corporeo, verso ‘interminati spazi di là da quella e sovrumani silenzi e profondissima quiete’.
L’ultimo interrogativo che attende una risposta, seppur provvisoria, resta il seguente: quella del trapasso è una linea d’ombra o una linea in luce?

Se partiamo dalla considerazione heideggeriana che la verità (a-letheia) è un ‘non-nascondimento’ e la mutuiamo con la visione fechneriana, la linea non segnerebbe l’inizio della fine, ma la fine dell’inizio, o meglio la fine del primo inizio. La soglia di passaggio fechneriana alla vita desta è il transito dalla vita notturna, che l’intelletto indaga con mezzi inadeguati, alla vita cosciente: un passaggio dalla soglia assoluta, oltre la quale non è percepibile alcuna differenza di stimolo, alla soglia differenziale, in cui si coglie l’unità minima discriminabile di percezione corrispondente all’incremento dello stimolo.
L’ulteriore passaggio è il vero e proprio transito verso il ‘sommo bene’ fechneriano, verso il ‘principio di piacere’ totalmente dispiegato perché non più costretto nei ‘limiti’ del corpo. Nell’ipotesi di Fechner, quest’ultimo transito apre all’anima del mondo che ‘contiene’ i frammenti di anima dei singoli esseri viventi (piante comprese).
L’orizzonte sterminato dello sguardo mosaico è un orizzonte aperto, evenemenziale. Eppure la linea che segna il transito è, a nostro avviso, una linea d’ombra, non in luce, poiché solo l’ombra favorisce la visione in tutta la sua nettezza. Come nella ‘radura’ heideggeriana, lucus a non lucendo, in cui i raggi si fanno strada a fatica, così sulla linea d’ombra, l’oscurità favorisce il discrimine del contorno luminoso che, per tal motivo, viene percepito con maggior nitidezza.
Possiamo, alla fine del nostro breve percorso, fare sintesi dicendo che la metafisica necessaria e integrativa dell’esperienza, l’orizzonte dell’oltre, pur apparendo un traguardo ‘gnostico’, per pochi iniziati, in realtà è appannaggio di tutti, senza preclusioni, dato che ciascuno ha occhi per vedere con sguardo ‘mosaico’ il confine, senza lasciarsi irretire in ‘barriere’ (Grenzen) che, il più delle volte, sono erette solo per giustificare false sicurezze e idiosincrasie nei confronti dell’ignoto.

Riferimenti bibliografici minimi:
Esposito, Costantino, I limiti del mondo e i confini della ragione. La teologia morale di Kant, in L. Fonnesu (a cura di), Etica e mondo in Kant, Il Mulino, Bologna 2008, pp. 237-269.
Fechner, Gustav Theodor, Elemente der Psychophysik, Erster und Zweiter Theil, Breitkopf und Härtel, Leipzig 1860.
Id., Il libretto della vita dopo la morte (1836), Adelphi, Milano 2014.
Gentile, Andrea, Ai confini della ragione. La nozione di “limite” nella filosofia trascendentale di Kant, Studium, Roma 2003.
M. Heidegger, La costituzione onto-teo-logica della metafisica (1957), in Identità e differenza, Adelphi, Milano 2013.
Id., Lettera sull’umanismo (1947), Adelphi, Milano 2006.
Jünger, Ernst, Heidegger, Martin, Oltre la linea, Adelphi, Milano 2016.
Kant, Immanuel, Prolegomeni a ogni metafisica futura che possa presentarsi come scienza (1783), La Scuola, Brescia 2016.
Id., La religione nei limiti della semplice ragione (1790), Laterza, Roma-Bari 1980.

Id., Lezioni di filosofia della religione (ed. Pölitz 1817), Bibliopolis, Napoli 1988.